Avvenire – Mercoledì 3 Maggio 2023

Mercoledì, Maggio 3, 2023

LETTERATURA
Nel romanzo-saggio di Cabianca la vita del poeta Uc de Saint Circ che lascia la Provenza in fiamme e si accasa a Treviso. Dove fa scuola e diviene ponte tra occitani, siciliani e stilnovisti

Il trovatore in fuga maestro d’amore

ENRICO GRANDESSO

Una vita in balia di vicende storiche travagliate e il canto, nonostante tutto in prevalenza d’amore, di un poeta nella prima metà del XIII secolo: il tema del recente volume di Alessandro Cabianca Uc de Saint Circ. Un trovatore alla corte degli Ezzelini (Cleup, pagine 240, euro 18,00). Il poeta e saggista veneto ci fa attraversare, in questa biografia romanzata che si svolge tra Francia, Spagna e Italia del Nord, le truculente vicende storiche delle lotte tra crociati e albigesi, che costrinsero Uc de Saint Circ (nato a Tegra, nel 1190 circa, e morto forse a Treviso intorno al 1261) a vagabondare nella Provenza in fiamme. I primi due capitoli scandiscono la realtà straziante delle lotte, dei massacri e dell’intolleranza: in un’epoca storica in cui giullari e poeti di corte erano per lo più malvisti – se non disprezzati – e il loro canto d’amor gentile non sempre compreso. Nel romanzo di Cabianca incontriamo molti troubadours (alcuni presenti anche nella Commedia dantesca): da Bertrand de Born ad Arnaut Daniel, da Savaric de Mauleon a Pier Cardenal; mentre in Italia tra i poeti si annoveravano alti funzionari della corte di Federico II, come Pier della Vigna, Jacopo da Lentini e Alberico da Romano, fratello di Ezzelino III e signore di Treviso, che componeva versi in provenzale. Uc, alla ricerca costante di protezione, lavorò nelle corti anche come copista e bibliotecario, sempre in compagnia della sua inseparabile viella (uno strumento musicale a cinque corde).

Se in Provenza la vita di Uc fu quella di un fuggitivo, senza una precisa idea di dove andare, in una fuga che sembrava condannata alla perennità e ad un crescendo di angoscia, quest’inferno terreno era intervallato per brevi periodi da occasioni di feste a corte e di banchetti gioiosi, dove i commensali e i cortigiani erano allietati dal canto dei poeti. Con loro le donne, che ascoltavano con acuta attenzione i versi e i pensieri d’amore: come la contessa Clara d’Anduza, lontana fiamma del trovatore, a cui Uc nel castello del visconte di Turenne si rivolse così: “Donna, se siete adirata contro di me / non mi difendo né mi nascondo né fuggo, / poiché da che vi ho conosciuta / non volli trovare guida o guarigione, / se non da voi: poiché mi siete tanto graziosa / che senza di voi non voglio che Dio / mi aiuti o mi dia gioia e salute”. Lo zenith del canto dei troubadours tocca la sublimità, la dolcezza e la sofferenza senza comparazione che Amore porta con sé (Uc ne cantò anche le gravi sofferenze senza alcun rimedio); e l’esposizione nel saluto all’amata tramite il senhal, nome fittizio con cui si copriva la donna a cui era rivolto il vero omaggio: “Voglio iniziare con un saluto / che sappia dire alla mia signora / tutto il mio desiderio e quel che spero, / e il bene e il male uniti insieme / e la gioia e il tormento che ne ho; / perché io so bene che se sapesse / come l’amo senza un cuore che inganna, / mi prenderebbe come servitore / almeno, o ne avrei grazia”.

Quando Uc dopo innumerevoli peripezie arrivò in Italia, vagò per svariate corti fino alla sistemazione nel 1221 presso Alberico da Romano, a Treviso: lì visse per oltre trent’anni e poté crescere i suoi figli. Fu maestro di poesia di Alberico stesso, e conobbe numerosi poeti italiani, tra cui Sordello da Goito e Rambertino Buvalelli. In questi anni Uc raccolse in un Canzoniere le poesie dei trovatori, le loro vite (vidas) e le annotazioni sui motivi e le ragioni del loro cantare (razos). La sua fama si estese: funzionari della Magna Curia di Federico II gli si rivolsero per commissionargli un glossario e un rimario della lingua provenzale. Uc de Saint Circ svolse dunque la fondamentale funzione di ponte tra la poesia provenzale e la nascente Scuola Siciliana, che fu all’origine della poesia italiana. Per giungere, nel 1259, alla canzone intonata nel castello di Canossa da un giovanissimo Guido Guinizelli: “Al cor gentil rempaira sempre amore”, considerata l’abbrivo poetico del Dolce Stil Novo.

Il volume di Cabianca ci propone, in punta di penna e unendo a un’accurata trattazione storica le riflessioni sulla più avanzata poetica europea del Duecento e sulle sue evoluzioni, un artista a tutto tondo, oggi completamente dimenticato dai lettori, con l’eccezione degli addetti ai lavori. Testi come questo sono non soltanto utili ma indispensabili: per ricordarci di un’altra idea di bellezza e di canto d’amore “che dà per li occhi una dolcezza al core”, antitesi assoluta delle guerre e delle loro atrocità.