I dettagli sono importanti sono dodici racconti di Enrico Grandesso. Spaziando dal grottesco al visionario attraverso dodici generi diversi, offrono un ampio e preciso spaccato del Veneto e dell’Italia pre-covid19. La prosa poetica “Nei portici lunghi” è qui interpretata da Daniele Berardi.
“Bellissima la tua pagina. Sensibile e colta la tua appassionata e attenta lettura di un’atmosfera cittadina.”
Floriana Coppola, 31 agosto 2021
“È stato un piacere ascoltare la lettura del testo, molto ben interpretato da Daniele Berardi. È un testo pieno di poesia. Ho davvero avuto l’impressione di guardare, come i bambini e quella anziana signora, il cielo radioso d’aprile sopra Padova. Ogni personaggio, dalle comitive di ragazzi alla camerierina ai nonni coi nipoti, è descritto con poche ma efficaci pennellate che rendono queste comparse delle presenze incisive e autentiche. Belle le immagini, la musica e il riferimento a Baudelaire.”
Elisabetta Sancino, 4 settembre 2021
“Ascoltato. Prosa assai ricercata, e un po’ rétro forse.”
Fulvia Degl’Innocenti, 11 settembre 2021
Il libro è uscito nel settembre 2018 per l’editrice Biblioteca dei Leoni ed ha avuto ha avuto 13 presentazioni in quindici mesi e decine di recensioni, interviste all’autore e segnalazioni.
Prima nazionale a Rovereto, mercoledì 26 settembre 2018 alla Biblioteca Civica “G. Tartarotti”. Dialogo con l’autore e letture di Daniele Berardi. Poi, tra le altre presentazioni, il 7 ottobre al Centro Culturale “S. Gaetano” di Padova, nell’ambito della rassegna internazionale “La fiera delle parole”, con letture di Federico Pinaffo; l’8 ottobre alla Libreria UBIK di Trieste, con le letture di Lorenzo Acquaviva; il 13 ottobre, ore 17.30, all’Hotel Villa Pannonia (****) del Lido di Venezia, con l’introduzione di Enzo Santese e un intervento di Paolo Ruffilli.
Quindi, il 2 aprile a Trento, all’ Associazione Culturale “A. Rosmini”; presentatore Giuseppe Colangelo; il 4 aprile all’Università della Terza Età di Vallarsa – in collaborazione con il locale Museo Etnografico e l’introduzione di Giuseppina Daniele; il 20 luglio a Pieve di Cadore, nell’ambito della rassegna “Boschi di carta”; il 16 settembre nella Biblioteca di Abano Terme, nella rassegna “Gli scrittori raccontano il mondo”, organizzata da Alessandro Cabianca.
Alcune immagini della presentazione di Rovereto
Recensioni
“Con sguardo acuto e a tratti implacabile, ma sempre venato d’ironia frammista a pietas, l’autore coglie particolarità e sfumature delle condizioni esistenziali appartenenti a personaggi di diverse tipologie, e ci presenta una galleria di figure mettendone a fuoco il vuoto che le abita, la fragilità e l’insicurezza che le accompagna, nei gesti, nei tic, nelle espressioni gergali dietro le quali si nascondono, alla ricerca di ruoli e riconoscimenti impossibili in un mondo oramai spaesato…. il linguaggio adottato è complesso e stratificato, prodotto da un impasto di evocazioni letterarie, espressioni dialettali, gerghi, anglicismi e neologismi che ricorda la complessità e il pluralismo linguistico presente nelle opere di Gadda, mentre le atmosfere sono legate alla quotidianità e ai piccoli gesti di ogni giorno”.
Lucia Guidorizzi, “Amicando semper”, settembre 2018
“Nel libro appena uscito – nota Santese – la puntualità d’analisi arricchita dall’ingrediente di un’ironia compiuta (dal tono dolce a quello impietoso) sbalza dallo spazio-tempo della quotidianità in terra veneta una serie di personaggi semplici e straordinari insieme. L’abilità dello scrittore li fa fluttuare dalla loro capacità di trasmettere nel lettore i sensi di una mentalità corrente fino alla loro peculiarità di protagonisti inconsapevoli di una “pièce” recitata a soggetto nell’apparente ordinarietà di ogni giorno”.
“Il Piccolo”, 8 ottobre 2018
“Si leggono d’un fiato, ma subito dopo si rileggono questi dodici racconti… partendo dal Veneto, immaginando magari la piazza di Treviso raccontata dal film “Signore e signori” di Pietro Germi, la narrazione si trasforma in una serie di arguti, spesso velenosi, a volte commossi ritratti che vanno ben oltre i confini del Veneto e diventano ispezione antropologica di un’Italia che non conosciamo ancora veramente”.
Mario Cossali, “Corriere del Trentino”, 17 ottobre 2018
“Enrico Grandesso, pur esprimendo un timbro narrativo personale, non si discosta dalla tradizione dei narratori veneti del Novecento, con casereccia arguzia e colta goliardia”.
“L’Arena”, “Il Giornale di Vicenza” e “Brescia Oggi”, 28.10.18
“L’autore sviluppa, fra le pieghe dei racconti, un’attenta funzione emotiva del linguaggio, mettendo a nudo sentimenti, ansie, desideri, frustrazioni con i suoi personaggi: il bisogno di essere amati e la difficoltà inerente è forse il tema più presente fra i protagonisti narrativi della raccolta… Un Veneto dunque che fatica a rimanere se stesso, ma che, con le sue energie migliori (quasi ultimi mohicani), non vuole cessare di esserlo”.
Massimo Parolini, recensione e intervista con l’autore, “L’Adigetto.it”, 12.11.18
“In un tale ventaglio di occasioni è facile all’autore mutare registro espressivo: da buffo e stravagante ad allucinato e immaginifico, da ironico o mordace a irrisorio, riuscendo a toccare la contestazione politica da un lato e l’insight psicologico (o sguardo interiore) dall’altro… Alla fine, più che racconti come comunemente s’intende, questi brani sono assaggi di costume, osservazioni quasi saggistiche in salsa creativa, pulsazioni reali di una società in veloce trasformazione”.
Claudio Toscani, “Avvenire”, 15.11.18
“Sullo sfondo, un Veneto specchio dell’Italia, la “California” di un Paese che, a partire dal 2008, anno della crisi, ha riportato profonde trasformazioni e cicatrici… (l’autore) tratteggia atmosfere conviviali, ma anche opprimenti, autentiche e posticce. Dosando ironia e naturalezza, affronta temi delicati come il bisogno di essere amati, l’ossessione del guadagno (il cosiddetto “far schei”), il pericolo dei luoghi comuni. Racconta di sacrifici, senso di vuoto e voglia di ricominciare”.
Luisa Santinello, “Messaggero di Sant’Antonio”, dicembre 2018
“Colpisce a una prima lettura lo stile di Grandesso, che riesce a dimostrare la realtà di ogni giorno nei suoi risvolti e nei suoi rapporti, per cui le persone assumono notevole rilevanza, ma nello stesso tempo le vicende seguono una coerenza che va ricercata anche nel modo di porsi, fra umorismo e ironia, fra malinconia e memoria, peraltro soltanto una parte dei sentimenti in una vasta gamma di espressioni… libri come il presente sono più che utili, anzi necessari: è attraverso una scioltezza linguistica che tiene conto della società odierna, connotata in particolare dal linguaggio, che si possono se non altro indicare le storture del potere e i suoi addentellati, spesso peggiori del potere stesso”.
Luciano Nanni, www.literary.it, dicembre 2018
“Non c’è spazio per le illusioni e i facili ottimismi in questo ritratto al vetriolo di un’Italia imbarbarita, preda di politicanti, artisti fasulli e commercianti razzisti. Permeati di ironia, i dodici racconti ci restituiscono un’immagine veritiera del Belpaese, lacerato da contrasti tra Nord e Sud, ricchi e poveri, italiani e migranti… a corredo della raccolta, un glossario riporta frasi ed espressioni del dialetto veneto, a riprova di un’accurata ricerca linguistica tesa a cogliere le varie sfumature del parlato”.
Monica Florio, www.literary.it, gennaio 2019
“Accennavo ai “tipi”, ma sarebbe ancor meglio dire che Grandesso esplora i diversi ambiti e livelli della realtà della sua provincia.. e così un po’ alla volta si disegna un microcosmo ricco e variopinto, spesso rappresentato attraverso dialoghi non immuni non solo dal dialetto (ma non mancano neppure citazioni dal latino e da altri dialetti, tanto che per maggiore chiarezza il libro si chiude con un utile glossarietto di termini dialettali) ma neppure dai linguaggi triviali degli avventori dei bar, sempre molto sensibili alle tette delle cameriere, e da quelli ultramoderni dei giovani delle ultime generazioni… nella vivace alternanza di toni e di linguaggi, di soggetti e di problematiche collocate peraltro all’interno di uno stesso scenario analizzato con microscopica attenzione (ecco allora perché “i dettagli sono importanti”) e acutezza ironica, Grandesso ha saputo creare con questi dodici racconti un microcosmo compiuto e ricco”.
Francesco De Nicola, “Amicando Semper” Nuova Serie, I ,1, febbraio 2019
“Ciò che avvince nel libro di Grandesso è soprattutto la lucidità critica applicata a un progetto narrativo che ha profonde inflessioni socio-antropologiche… in ognuno dei racconti si apre un mondo in cui dialetticamente si confrontano grottesco e reale, fisico e surreale, elemento immaginario e sostanza del vero”.
Enzo Santese, “Qui Libri”, marzo-aprile 2019
“Dodici testi di diversa lunghezza… che conformano un libro compatto e coraggioso, perché tutti ispirati dall’indignazione. Sentimento assai nobile questo, specie quando non è collera generica o rabbia epidermica, ma si nutre di quella passione etica che spinge a mettersi contro le grettezze e la degradazione del proprio tempo”.
Giuseppe Colangelo, “L’Adige”, 2 aprile 2019
“Enrico Grandesso ci porta esattamente qui, nell’accaduto rovinoso che ha lasciato un presente nel quale l’autore indaga e mostra, dà voce e attenzione, a uomini e donne illusi prima e travolti dopo, persi in ricordi luccicanti e ormai spaesati nei meandri del nuovo quotidiano, quello rimasto e sofferente dell’oggi”.
Giovanni Fierro, recensione e intervista all’autore, “Fare Voci”, maggio 2019
“Enrico Grandesso si distingue per un talento narrativo che non indulge alla monotonia e alla banalità, ma, al contrario, sa sempre ravvivare il gusto del racconto, suscitare attenzione e curiosità, inducendo a una realistica e scaltra indagine”.
Flavia Buldrini, www.literary.it, giugno 2019
“Questo libro, in cui la poesia ti sorprende ad ogni passo, è scritto con grande arte… ciò che si rappresenta è quasi una rinnovata antropogenesi, necessaria nella rinnovata civiltà delle strade e delle finanze; che non è resa possibile dal discorso morale, ormai generico e ampiamente disdetto, sulla società e sui suoi tipi, come avrebbe fatto Balzac, ma attraverso la parola”.
Gabriella Valera Gruber, “La Battana”, ottobre-dicembre 2019
“… così come per Balzac, all’interno dell’opera di Grandesso il dettaglio isolato, ridotto allo stato di frammento insignificante, rappresenta il fallimento dell’arte, ma inserito all’interno di un quadro più completo, ibrido, contraddittorio, può giungere allo scopo, rappresentando il senso umano della vita e la piccola grandezza di una variegata umanità, colta nella misera grandezza del suo vivere. Ecco quindi che, in linea con l’autore della Comédie humaine, l’ibridazione di modi e forme, di generi e registri letterari, la polimorfia di intrecci e richiami, di figure e affezioni, possono essere la chiave interpretativa e la cornice degna di questi dodici racconti”.
Laura D’Angelo, Sinestesieonline, n. 42, 2024
Commenti
(pubblicati con il consenso delle autrici / degli autori)
“Davvero un bel libro Enrico. Ciò che più mi sorprende è il repentino cambio di registri, talvolta nello stesso testo. Alcune parti sono molto poetiche quando racconti dell’amore o dell’abbandono nel senzatempo, sconfinando in una narrazione surreale, altre parti di denuncia, sempre ironiche, che ancora rivelano grandi contraddizioni: le fregature dei poveri cristi, il cinismo dei ricchi… Il tutto narrato con dovizia di particolari in un intenso fluire da un racconto all’altro, da un registro all’altro in un gioco di specchi rivelatore dell’animo umano”.
Fabia Ghenzovich, messaggio all’autore su facebook dell’1.11.18
“Vi è in tutta la tua prosa la ricerca dell’inatteso… Il tuo è un linguaggio che affonda (volutamente) nel quotidiano, senza eccessi di sperimentalismi, non per mancanza di strumenti, ma scelta editoriale ( e – aggiungerei – ” etica”) un’etica che affonda le sue radici in una superficie piana da dove scavi senza strumenti pesanti, bensì con la levità dell’occhio attento e generoso. Una generosità che ti porta a guardare quasi sempre l’altro e molto di rado il sé. E a trovare senza fatica quei dettagli che ai più sfuggono, ma che si rivelano essere non solo importanti, bensì “indispensabili”.
Marta Celio, email all’autore del 14 novembre 2018
“All in all 12 different stories with irony, satire, humour and sadness. The protagonists are from different walks of life but are the stereotypes of today’s Italians! You bring them to life. I can see your vast knowledge, experiences and interests inserted in the stories. I really enjoyed the book”.
Edda Nella, messaggio whatsapp alll’autore, 24 gennaio 2019
“Caro Enrico, ho finito ieri sera la lettura dei tuoi racconti. Gli ultimi due dimostrano un notevole impegno per quanto riguarda sia la struttura che li sorregge, ben articolata e spiazzante, sia dal punto di vista stilistico. “Fare” mi ha ricordato il miglior Benni satirico, con un andamento rapsodico che avvolge il lettore in un turbinio di situazioni, con una battuta finale raggelante. “Altrimenti” è un romanzo in ottavo, una fotografia in cui il dolce si sovrappone all’amaro (che la vita non risparmia), un inno alla resilienza, come l’esergo ricorda. Insomma, questi due racconti concludono con un acuto una raccolta che per me è stata una bella sorpresa: il racconto è un’arte difficile e tu dimostri notevole dimestichezza”.
Nicola De Cilia, email all’autore del 4 aprile 2019
“Ho letto con piacere il tuo recente libro di racconti. Molto interessanti, con vari stili e registri linguistici. Devo dire che mi è piaciuto soprattutto l’uso della “erlebte Rede”, con cui rendi molto vivi (e spesso con ironia) i personaggi. Le storie, anche quelle che ritraggono brevi scene di vita quotidiana con finale aperto, invitano ad una riflessione morale a volte con leggerezza, a volte con ironia o con sarcasmo, mai con arroganza”.
Luisa Martinelli, email all’autore del 14 maggio 2019
“La fusione fra una lingua sincopata, talora vernacolare, e un registro lirico/malinconico è un po’ il segno del tuo stile. Quello che più mi ha interessato è il continuo pastiche che fai di lingua alta e lingua bassa, la proficua introduzione di venetismi accanto a inglesismi, il passaggio da battutaccia a linguaggio lirico…. Talora trovo che ti fai prendere la mano dal tuo gusto per questo tipo di linguaggio eccentrico, e infatti le mie preferenze vanno a racconti come “Brezza d’agosto”, bello sin dal titolo, dove il ritratto della ragazza è davvero toccante, quasi struggente (ma non per questo meno sensuale). Fra gli altri miei preferiti, sicuramente “Jazz e lucaniche”, che ha proprio un andamento jazz, e rispetto ad altri la tua satira nei confronti della società veneto/italiana ha sfumature più umoristiche. Un’altra cosa che ho notato è la tua attenzione a trasmettere sensazioni fisiche, penso al calore che si avverte nel primo racconto introduttivo, o ancora a “Nei portici lunghi” e a “Mi e el can”; ma forse uno degli aspetti che mi ha intrigato di più è il legame che s’instaura fra i racconti – cose serie raccontate da un clown, tutte, un’amarezza di fondo dietro un sorriso smargiasso – e in modo letterale fra il primo e l’ultimo: questa ripresa mi è piaciuta moltissimo, come del resto l’intero racconto conclusivo di Emanuele.”
Emanuele Pettener, mail all’autore, 7 dicembre 2021 Florida Atlantic University, U.S.A.
“Con leggerezza Enrico Grandesso ne I dettagli sono importanti ci porta dentro il piccolo mondo veneto delle convenzioni, dei riti collettivi, delle ambizioni o megalomanie individuali, con quella mano sicura del narratore che sa guardare alla sua gente attraverso il filtro dell’ironia. Mi piace sottolineare la centralità in questo libro di racconti di “Poca schiuma, mi raccomando” perché fin dal titolo mostra certe abitudini o vezzi o anche, come vedremo, intercalari, che fanno parte del linguaggio comune, quasi a formare un vocabolario di vezzosità che entrano nei riti del quotidiano come il caffé al bar, l’attesa di una prima teatrale, l’arrivo di un personaggio che tiene desta l’attenzione dei curiosi. Uno sguardo disincantato con momenti surreali e coloriture melodrammatiche o sottintesi sulla figura del Divo, che appare come un protagonista da operetta, bizzoso, spocchioso, obbligato perché “messo a contratto”, ma accolto con deferenza dalla associazione di ottuagenari che vede il suo arrivo come un traguardo o la realizzazione di un sogno e gli prepara una degna accoglienza. Quindi l’entrata trionfale a teatro, dopo essersi fatto attendere una buona mezz’ora e ancora senza fretta, essersi apprestato al microfono per un discorso programmatico per la stagione teatrale futura di una supponenza e una villania che solo un popolo di anestetizzati poteva accogliere con scroscianti applausi…Torno qui a sottolineare la ricchezza del linguaggio e la fluidità del narrare che si avvicina al parlato, la presenza di citazioni dotte, da Campanile a Cicerone, di alcuni termini del francese, dell’inglese, del tedesco, del serbocroato e di espressioni gergali tipiche del mondo veneto” .
Alessandro Cabianca, mail all’autore, 10 marzo 2022